
L’architettura hi-tech rappresenta una delle tendenze urbanistiche della seconda metà del Novecento che ha inciso notevolmente sull’aspetto e sul funzionamento di molte città
La nascita e lo sviluppo dell’architettura hi-tech si pongono, senza dubbio, in strettissima connessione con le straordinarie novità offerte dal progresso tecnologico, specialmente a partire dagli anni Settanta del secolo scorso.
I principi di base dell’architettura hi-tech
Con l’espressione architettura hi-tech si indica un filone “tardo” del movimento modernista, i cui principi furono enunciati in un libro dal titolo “High Tech: The Industrial Style and Source Book for the Home”, a cura di Joan Kron e Suzanne Slesin. In questo volume i due autori ponevano in evidenza la necessità di rinnovare significativamente le città contemporanee.
I nuovi edifici, in esse costruite, devono avere, a loro giudizio, un aspetto innovativo, capace di sorprendere a prima vista l’osservatore, ed al contempo essere costruiti con materiali più resistenti ed a basso impatto ambientale.
Uno dei principi basilari posti dai teorici dell’architettura hi-tech è, inoltre, la versatilità dei palazzi, che in genere si caratterizzano per la coesistenza di più funzioni. D’altra parte, i materiali che li compongono devono essere facilmente visibili dall’esterno.
Generalmente, la pianta di un edificio hi-tech è di tipo libero, ovvero imperniata su una griglia modulare ampliabile in maniera indefinita.
Gli arredi interni, invece, presentano spesso componenti industriali (ad esempio prodotti chimici), in quanto capaci di soddisfare tanto una finalità estetica quanto esigenze di solidità e funzionalità.
I primi esempi in Inghilterra e Francia
In realtà, circa dieci anni prima della pubblicazione del volume di Kron e Slesin, Norman Foster aveva già progettato edifici inquadrabili in una dimensione hi-tech, come la Fabbrica Reliance Control di Swindon e soprattutto la sede della Willis Faber & Dumas di Ipswich.
Quest’ultima, in particolare, presentava il tema innovativo (per quei tempi) di una facciata esterna totalmente in vetro.
Anche a Parigi, tra il 1971 ed il 1977, era stato costruito un altro famosissimo esempio di architettura “ad alta tecnologia”: il Centre George Pompidou, a cura di Richard Rogers e Renzo Piano.
La struttura, a forma di navicella, destò un ampio dibattito tra i critici, proprio come accadde per la Torre Eiffel a fine Ottocento.
Ciò che la contraddistingueva particolarmente, infatti, era l’estrema libertà degli interni, che potevano essere sfruttati per diverse finalità (artistiche, ricreative, informative, ecc.).
A Hong Kong il primo modello “sostenibile”
Uno dei migliori esempi al mondo di architettura hi-tech, in cui trovò applicazione forse per la prima volta il concetto di sostenibilità, è sicuramente il palazzo della Hsbc a Hong Kong.
Ideata da Norman Foster nei primi anni Ottanta del Novecento, la struttura presenta un sistema di specchi che riflettono omogeneamente in tutti gli ambienti interni la luce solare. Altrettanto innovativa fu, poi, la scelta di usare l’acqua marina come fonte di alimentazione per gli impianti di aria condizionata.
A Napoli uno dei massimi esempi di hi-tech
Anche in Italia, ancora oggi, si hanno edifici che rispecchiano i canoni dell’architettura hi-tech. Uno dei più importanti, nei quali si fondono estetica e funzionalità, è il Centro Direzionale di Napoli.
Innalzato tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso su progetto del giapponese Kenzo Tange, il complesso è formato da palazzi e grattacieli fatti in vetro ed alluminio, che ospitano grandi aziende (Tim, Enel, Banco di Napoli) ed enti amministrativi (Comune di Napoli, Regione Campania).
L’area centrale, contraddistinta da piazze, aiuole e fontane, funge da raccordo non solo tra i vari isolati ma anche con i parcheggi sotterranei e la rete stradale.